L’impegno del mondo del tessile e della moda per contrastare il cambiamento climatico

L’impegno del mondo del tessile e della moda per contrastare il cambiamento climatico

Oltre 100 tra i maggiori player della moda a livello planetario e organizzazioni sostenitrici, hanno firmato la Carta per L’Azione Climatica dell’Industria della Moda (Fashion Industry Charter for Climate Action). La carta, lanciata a dicembre 2018 all’interno della conferenza mondiale sul clima COP24, si propone di partecipare attivamente agli obiettivi dell’accordo di Parigi: mantenere l'aumento della temperatura al di sotto di 1,5 ° C rispetto ai livelli pre-industriali e per raggiungere la Carbon Neutrality entro il 2050.

Cosa dice la Carta

La carta va oltre precedenti impegni a livello di settore. Comprende un obiettivo di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra del 30% entro il 2030 e un impegno ad analizzare e impostare il percorso di decarbonizzazione per l'industria della moda, attingendo a metodologie dalla Science-Based Targets Initiative. I firmatari si impegnano inoltre a tracciare e rendere pubbliche le emissioni di gas serra, a supportare il mondo scientifico e le Organizzazioni Unite nelle strategie per il cambiamento climatico, migliorare l’efficienza energetica, a porre dei vincoli all’utilizzo di caldaie a carbone nei siti manifatturieri, a supportare sistemi di trasporto a basso impatto ambientale, a sostenere un modello di economia circolare, a promuovere il dialogo con i governi, a afforzare comportamenti virtuosi dei consumatori per ridurre gli impatti ambientali e prolungare la vita dei prodotti.

Qual è l'impatto ambientale del settore moda e tessile

Secondo il rapporto Quantis “Measuring Fashion” del 2018, l’impatto ambientale del settore abbigliamento e calzature rappresenta circa l’8% degli impatti globali sul clima (3.990 milioni di tonnellate CO2eq). Soltanto in Europa, nel 2015 i cittadini dell'UE hanno acquistato 6,4 milioni di tonnellate di nuovi indumenti (pari a 12,66 kg a persona); tra il 1996 e il 2012, la quantità di abiti acquistati per persona nell’Unione Europea è aumentata del 40%. Le ragioni dell’aumento sono da ricercare nel crollo dei prezzi e nella diffusione della cosiddetta “fast fashion”, adottata dai grandi retailer della moda che offrono produzione di massa, prezzi bassi ed enormi volumi di vendita.

Purtroppo si stima che oltre il 30% dei vestiti negli armadi europei non viene utilizzato da almeno un anno. Una volta scartati, oltre la metà dei capi non viene riciclata, ma finisce nei rifiuti domestici misti, che sono poi inviati agli inceneritori o alle discariche. E si tratta soltanto dell’ultimo anello della catena: l’impatto ambientale del settore è dovuto anche alla produzione agricola, alla produzione delle fibre (sia naturali sia sintetiche) e dei filati, ai processi umidi fino alla confezione e distribuzione degli abiti.

Nell’ambito della conferenza sul clima di dicembre 2019 COP25, i firmatari della carta hanno ri-affermato con una lettera congiunta il loro impegno, chiedendo al contempo la collaborazione dei leader politici dei principali paesi produttori e consumatori di prodotti tessili.

GOTS e GRS, la moda sostenibile certificata

Sia GOTS (Global Organic textile Standard) sia Textile Exchange hanno aderito alla Fashion Industry Charter for Climate Action. CCPB offre i servizi di certificazione in conformità a Global Organic Textile Standard (GOTS) e Organic Content Standard (OCS), che valorizzano il contenuto di fibra biologica nei prodotti tessili, e in conformità a Global Recycled Standard (GRS) e Recycled Claim Standard (RCS), che puntano sul contenuto di fibra riciclato. GRS e GOTS includono anche requisiti ambientali e sociali per garantire una sostenibilità a 360°.