Vitivinicoltura biologica: le ragioni di un successo
CCPB è stato invitato ad AgriCultura, il festival di Desenzano sul Garda dedicato a biodiversità, sostenibilità e fertilità. Nel ricco programma, sabato 18 aprile alle 15 al Castello (sala Benedetti), ci sarà il convegno Storytelling: il bio si racconta - Le scelte verso il biologico.
Ecco una sintesi dell’intervento di Davide Pierleoni, Responsabile Ufficio Commerciale, Marketing e Segreteria, intitolato Vitivinicoltura biologica: le ragioni di un successo
La viticoltura biologica italiana è un fenomeno che, secondo il SINAB (Sistema Informativo Nazionale Agricoltura Biologica www.sinab.it), a fine 2013 contava: 23.763 ettari certificati in conversione, 44.174 certificati biologici, per un totale di 67.937 ettari inseriti nel sistema di controllo e certificazione italiano.
Rispetto all’anno precedente, dove si contavano 57.347 ettari, si è realizzato un notevole incremento in termini di superficie, 10.590 ettari pari a un più 18,5%. La vite da vino è coltivata su 66.578 ettari, mentre quella da tavola è coltivata su 1.355 ettari. Rispetto al totale della superficie agricola biologica italiana (1.317.177 ettari), il vigneto biologico rappresenta circa il 5%. La superficie dedicata a vigneto biologico sul totale di quella dedicata a vigneto in Italia è di 795.027 ettari, l’8,54% (fonte ISTAT).
A livello mondiale si stima che i vigneti coltivati biologicamente siano 275.000 ettari con una crescita dell’11% rispetto al 2013. Di questi ettari, il 73% è coltivato in Europa, dove gli Stati che coltivano più vigneto bio sono Francia (ha 61.056), Spagna (ha 79.016) , Italia (ha 52.812) e Grecia (ha 4.807) (Fonte Commissione EU dati 2011). Merita la segnalazione il trend di sviluppo della Spagna che è passata da 16.000 ettari del 2002 ai 79.000 ettari del 2011, mentre l’incremento delle superfici vitate bio in Italia è stato leggermente meno impetuoso passando da 37.000 ettari del 2002 ai 57.347 del 2013.
Sarà molto interessante leggere i dati relativi al 2014 e scoprire se si rivelerà l’anno della conversione per il vigneto biologico in Italia. Anche perché il 2014, lo ricordiamo, è coinciso con il peggior anno, climaticamente parlando, durante il quale nelle aziende bio la lotta fitosanitaria effettuata con metodo biologico contro peronospora e botrite è stata aspra.
Una pazza estate, fatta di piogge continue, temperature favorevoli e ore di bagnatura prolungate per settimane, ha messo sotto pressione i viticoltori bio che, alla fine, ne sono usciti vincitori senza perdere il raccolto, cosa questa, che rimane lo spauracchio di ogni viticoltore convenzionale troppo abituato a dormire sugli allori procurati dagli anticrittogamici sistemici ad effetto curativo.
Quello che può fare la differenza non è tanto la coltivazione delle uve, ma la produzione di vino bio. Occorre tenere in considerazione il fatto che per la conversione della vite la normativa europea prevede un periodo di 36 mesi e quindi la possibilità di produrre vino biologico è rimandata di 3 anni rispetto al momento in cui l’imprenditore decide di convertire l’azienda. Se poi quel particolare tipo di vino è soggetto ad un processo di invecchiamento, ad esempio di altri 36 mesi, abbiamo che dal momento della decisione di convertire l’azienda, al momento in cui si può commercializzare il vino biologico, passano fino a 72 mesi (6 anni). Non pochi!
Questa potrebbe essere una chiave di lettura che spiega “i passi di piombo” con cui le grandi aziende del vino approcciano il settore del vino biologico. Sanno che in questo settore non si può correre dietro al marketing, ma occorre un progetto di medio-lungo periodo.