Il Tessile e la sostenibilità; è ora di agire, ma veramente!
Autore: Davide Pierleoni - Responsabile Ufficio Commerciale e Marketing

Il Corriere della Sera ha lanciato un allarme con la sua inchiesta pubblicata il 10 gennaio scorso all’interno di DataRoom di Milena Gabanelli e dal titolo "Tessuti tossici e inquinamento? quando la svolta ecologica del fast fashion è un inganno". Riassumiamo brevemente i contenuti.
La moda è pervasa dal fenomeno del “Fast Fashion” ovvero abiti progettati e fatti per durare poco; ne consegue quindi un enorme spreco di risorse e pericolosi effetti di inquinamento conseguenti. I consumatori sono attratti ed influenzati da etichette “green” che, alla prova dei fatti, si rivelano tendenziose o nella peggiore delle ipotesi, anche false. I consumatori appaiono disorientati e, allo stesso tempo, la collettività intera è colpita dagli effetti sull’ambiente di questo modello produttivo usa e getta; gli effetti principali sono dovuti, ad esempio, al consumo di acqua nella produzione agricola, all’uso massiccio di pesticidi e fertilizzanti e l’uso di OGM nella coltivazione del cotone che è la principale materia prima tessile. Se consideriamo il settore tessile che utilizza materie prime di origine fossile, come il poliestere derivante dal riciclo delle bottiglie di plastica, abbiamo problemi di generazione di CO2 ed emissione nell’ambiente di microplastica.
Cosa fare nel breve?
L’Unione Europea si sta dotando di un quadro normativo che mira a contribuire a un'economia dell'UE circolare, pulita e verde, consentendo ai consumatori di prendere decisioni di acquisto consapevoli e quindi contribuire a una maggiore sostenibilità dei consumi. Mira altresì a contrastare le pratiche commerciali sleali che distolgono i consumatori da scelte di consumo sostenibili. Migliora infine la qualità e la coerenza dell'applicazione delle norme dell'UE in materia di tutela dei consumatori; per chi volesse saperne di più, ne avevamo parlato a Novembre qui
Nello specifico, la normativa in emanazione prevede che sia vietata l'esibizione di un marchio di sostenibilità che non è basato su un sistema di certificazione o non è stabilito dalle autorità pubbliche; sia vietato l'uso di dichiarazioni ambientali generiche nelle attività di marketing rivolte ai consumatori, laddove l'eccellenza delle prestazioni ambientali del prodotto non sia dimostrabile.
In alternativa
Il mondo del tessile, quello veramente sostenibile, ha da tempo avviato progetti di creazione di regole a livello internazionale, che sono sfociati nella definizione di Standards; il primo è GOTS Global Organic Textile Standard ed il secondo è Textile Exchange che ha realizzato una serie di regole, dall’Organic Content Standard per le fibre naturali biologiche, al Recycled Claim Standard e Global Recycled Standard per le materie prime di derivazione petrolifera come polietilene, poliestere, nylon, rayon….
Entrambi gli standards coprono requisiti che riguardano le attività di manifattura vera e propria, coniugandoli con altri requisiti in materia ambientale e sociale; questo perché su queste due aree ci sono grandi attenzioni da parte del mercato e dei consumatori che richiedono, nel produrre beni di altissima qualità, di non trascurare gli aspetti sociali ed ambientali. E’ noto infatti il tema dello sfruttamento del lavoro, anche quello minorile e della mancanza di attenzione agli effetti sull’ambiente, da parte dei produttori localizzati in alcune parti del mondo, dove la legislazione nazionale è carente, addirittura assente o dove i controlli sono pochi e/o non veritieri.
CCPB è in grado di offrire alle aziende del settore tessile i servizi di certificazione per entrambi gli standard e trovate tutte le info qui; si tratta di un servizio fornito sotto accreditamento di IOAS (ente di accreditamento internazionale) e quindi sono in grado di fornire la massima riconoscibilità alle aziende e ai prodotti marchiati con i loghi delle due organizzazioni.
Per maggiori informazioni, contattate Davide Pierleoni, Responsabile Commerciale CCPB 071/7916313 dpierleoni@ccpb.it